IL VERO NATALE
Natale con i tuoi Capodanno con chi vuoi (o era Pasqua)?
Beh comunque ognuno a casa sua.
Paolo dalla sua mammina borghese, Sara a Bergamo, Carlo ed io in Brianza e John e Tye a casa a Milano.
Il problema è come dividersi nei tre giorni fondamentali. Vigilia, Natale e Santo Stefano.
Allora alla Vigilia a casa di Carlo, perché da vera famiglia del Sud i suoi non rinunciano alle tradizioni. La mia invece, da vera famiglia del Nord, non festeggia alla Vigilia ma solo a Natale.
È strano tornare a casa.
Andare a casa di Carlo a mangiare, parlare con i suoi genitori, con suo fratello, con la vecchia zia che vive lì. Quast’anno abbiamo portato anche il panettone, che abbiamo comprato al supermercato dietro l’angolo. Il problema è che abbiamo comprato anche una bella bottiglia di gin.
La cena è come sempre corredata dal miglior terzo grado del mondo. Reggiamo bene però e ci prepariamo le risposte anche per quello di domani che subiremo dai miei genitori.
Intanto a metà cena la bottiglia di gin è già mezza vuota. Improvvisamente i genitori di Carlo mi sembrano anche simpatici.
A fine cena solito giro per la casa per vedere i presepi della mamma che ogni anno si arricchiscono. Solo di uno. Gli altri sono sempre la stessa menata.
Poi si va da Emanuele.
Rivediamo tutti i nostri vecchi amichetti. Gente che non vediamo da un sacco di tempo. C’è anche il Vanza ma lui lo vediamo anche troppo spesso. È un po’ strano, sia io che Carlo ci sentiamo piuttosto estranei. Parlano tutti di persone che non riconosciamo, di eventi a cui non abbiamo partecipato, di idee che non condividiamo più.
È brutto.
Non riconoscere la gente con cui sei cresciuta, le persone che ti hanno aiutato, che ti hanno spinto verso la persona che sei adesso.
Fa male.
Capire che non hai quasi più niente in comune con loro, che vorresti finire la mezza bottiglia di gin il più in fretta possibile e scappare dalla veranda in cui hai festeggiato un sacco di notti.
Torno a casa a dormire. Anche qui stessa storia. Non è più il mio letto, la mia camera, il mio spazio inviolabile. Il respiro di mio fratello nel letto accanto mi dà un fastidio terribile.
Alla mattina mia madre non sa più con cosa faccio colazione, mi prepara il latte ma io non lo bevo più da una vita. Lei non lo sa più, ormai.
Partiamo tutti per casa di mio cugino. Anche qui succede la stessa cosa. Sono attorniata da persone che dovrebbero essere la mia famiglia ma che in realtà non mi conoscono. Non sanno niente di me. E tutto ciò viene dimostrato dai regali che mi fanno. Lo so che conta il pensiero però questi regali dimostrano proprio che loro, di me, non sanno niente. Ricevo un accappatoio, che non uso, trucchi, che mi trucco solo quando sono depressa quindi questi cosi non sono altro che un incentivo alla mia tristezza, un cd di musica pop suonata con il panflute e su questo regalo proprio non mi vengono parole. Mia madre mi regala il solito maglione orribile, mio padre il solito libro che gli avevo indicato quando due giorni fa mi ha telefonato per chiedermi che cosa cavolo poteva regalarmi per Natale.
Tristezza, tristezza, tristezza.
Finiamo di mangiare il pranzo alle 3.30 di pomeriggio. Un delirio.
Ora parte la tombola. L’unica cosa positiva della giornata. Forse riesco a portare a casa un po’ di soldi. Invece sto perdendo e anche tanto. Suona il campanello. È Carlo. Anche lui si becca un regalo orribile. Un pigiama. Genere: malato ospedalizzato con malattia incurabile e mortale.
Ceniamo. Una lenta agonia, mentre lui viene sottoposto al terzo grado parte seconda e io devo continuare a portare piatti e cibo davanti alla bocca di tutti per farli parlare il meno possibile.
Di nuovo la tombola. Non ci credo ancora ma ho recuperato tutti i miei soldi e riesco anche a portarmi a casa 5 euro. Carlo 11 euro.
Stasera dormo ancora a casa mia e alla mattina mia madre non mi fa più il latte. Almeno una cosa in più di me la conosce adesso.
Giornata dai parenti di mio padre.
Passo indenne l’intero pranzo, il pomeriggio, la cena, i regali che non mi rappresentano, la cuginetta che ho visto due volte in cinque anni e che si vergogna persino di salutarmi perché si chiederà: ma chi cazzo è questa? In tedesco, perché lei vive in Germania.
Alle 10 Vanza e Carlo mi vengono a prendere. Passano più o meno indenni dal terzo grado parte terza e finalmente siamo sulla macchina di Vanza diretti verso Milano. Destinazione: casa mia, quella vera.
In macchina regna un silenzio straziante, siamo tutti troppo straniti da questi giorni.
Mentre apro la porta di casa, mi viene quasi da piangere, non so bene perché ma sicuramente per la felicità di sentirmi veramente me stessa, compresa, rappresentata anche solo da un divano e un mobile.
John e Tye sono praticamente in coma etilico sul divano. Pare che in questi due giorni si siano sfondati di alcol fino a perdere i sensi. Paolo arriva dopo pochi minuti e anche lui sembra parecchio stranito.
Porta con sé un panettone e una bottiglia di spumante, gentile regalo di suo zio che non conoscendolo gli ha dato il regalo più insignificante del mondo. Il regalo che i titolari di un’azienda fanno ai loro dipendenti.
Apriamo dolce e bottiglia e intorno al tavolino cominciamo a parlare e a raccontarci questi tre giorni.
E mi sento bene, mi sento a casa, mi sento capita, mi sento in mezzo a gente che mi vuole bene, non perché è costretta per via di un qualche legame istituzionalizzato, mi sento felice perché so che queste persone non mi faranno mai un regalo che non mi rappresenta.
E mentre ascoltiamo il cd di panflute, ridiamo tutti insieme intorno al panettone, allo spumante e alla bottiglia di amaro Braulio che abbiamo rubato a casa di mio padre.
Adesso è veramente Natale.
Beh comunque ognuno a casa sua.
Paolo dalla sua mammina borghese, Sara a Bergamo, Carlo ed io in Brianza e John e Tye a casa a Milano.
Il problema è come dividersi nei tre giorni fondamentali. Vigilia, Natale e Santo Stefano.
Allora alla Vigilia a casa di Carlo, perché da vera famiglia del Sud i suoi non rinunciano alle tradizioni. La mia invece, da vera famiglia del Nord, non festeggia alla Vigilia ma solo a Natale.
È strano tornare a casa.
Andare a casa di Carlo a mangiare, parlare con i suoi genitori, con suo fratello, con la vecchia zia che vive lì. Quast’anno abbiamo portato anche il panettone, che abbiamo comprato al supermercato dietro l’angolo. Il problema è che abbiamo comprato anche una bella bottiglia di gin.
La cena è come sempre corredata dal miglior terzo grado del mondo. Reggiamo bene però e ci prepariamo le risposte anche per quello di domani che subiremo dai miei genitori.
Intanto a metà cena la bottiglia di gin è già mezza vuota. Improvvisamente i genitori di Carlo mi sembrano anche simpatici.
A fine cena solito giro per la casa per vedere i presepi della mamma che ogni anno si arricchiscono. Solo di uno. Gli altri sono sempre la stessa menata.
Poi si va da Emanuele.
Rivediamo tutti i nostri vecchi amichetti. Gente che non vediamo da un sacco di tempo. C’è anche il Vanza ma lui lo vediamo anche troppo spesso. È un po’ strano, sia io che Carlo ci sentiamo piuttosto estranei. Parlano tutti di persone che non riconosciamo, di eventi a cui non abbiamo partecipato, di idee che non condividiamo più.
È brutto.
Non riconoscere la gente con cui sei cresciuta, le persone che ti hanno aiutato, che ti hanno spinto verso la persona che sei adesso.
Fa male.
Capire che non hai quasi più niente in comune con loro, che vorresti finire la mezza bottiglia di gin il più in fretta possibile e scappare dalla veranda in cui hai festeggiato un sacco di notti.
Torno a casa a dormire. Anche qui stessa storia. Non è più il mio letto, la mia camera, il mio spazio inviolabile. Il respiro di mio fratello nel letto accanto mi dà un fastidio terribile.
Alla mattina mia madre non sa più con cosa faccio colazione, mi prepara il latte ma io non lo bevo più da una vita. Lei non lo sa più, ormai.
Partiamo tutti per casa di mio cugino. Anche qui succede la stessa cosa. Sono attorniata da persone che dovrebbero essere la mia famiglia ma che in realtà non mi conoscono. Non sanno niente di me. E tutto ciò viene dimostrato dai regali che mi fanno. Lo so che conta il pensiero però questi regali dimostrano proprio che loro, di me, non sanno niente. Ricevo un accappatoio, che non uso, trucchi, che mi trucco solo quando sono depressa quindi questi cosi non sono altro che un incentivo alla mia tristezza, un cd di musica pop suonata con il panflute e su questo regalo proprio non mi vengono parole. Mia madre mi regala il solito maglione orribile, mio padre il solito libro che gli avevo indicato quando due giorni fa mi ha telefonato per chiedermi che cosa cavolo poteva regalarmi per Natale.
Tristezza, tristezza, tristezza.
Finiamo di mangiare il pranzo alle 3.30 di pomeriggio. Un delirio.
Ora parte la tombola. L’unica cosa positiva della giornata. Forse riesco a portare a casa un po’ di soldi. Invece sto perdendo e anche tanto. Suona il campanello. È Carlo. Anche lui si becca un regalo orribile. Un pigiama. Genere: malato ospedalizzato con malattia incurabile e mortale.
Ceniamo. Una lenta agonia, mentre lui viene sottoposto al terzo grado parte seconda e io devo continuare a portare piatti e cibo davanti alla bocca di tutti per farli parlare il meno possibile.
Di nuovo la tombola. Non ci credo ancora ma ho recuperato tutti i miei soldi e riesco anche a portarmi a casa 5 euro. Carlo 11 euro.
Stasera dormo ancora a casa mia e alla mattina mia madre non mi fa più il latte. Almeno una cosa in più di me la conosce adesso.
Giornata dai parenti di mio padre.
Passo indenne l’intero pranzo, il pomeriggio, la cena, i regali che non mi rappresentano, la cuginetta che ho visto due volte in cinque anni e che si vergogna persino di salutarmi perché si chiederà: ma chi cazzo è questa? In tedesco, perché lei vive in Germania.
Alle 10 Vanza e Carlo mi vengono a prendere. Passano più o meno indenni dal terzo grado parte terza e finalmente siamo sulla macchina di Vanza diretti verso Milano. Destinazione: casa mia, quella vera.
In macchina regna un silenzio straziante, siamo tutti troppo straniti da questi giorni.
Mentre apro la porta di casa, mi viene quasi da piangere, non so bene perché ma sicuramente per la felicità di sentirmi veramente me stessa, compresa, rappresentata anche solo da un divano e un mobile.
John e Tye sono praticamente in coma etilico sul divano. Pare che in questi due giorni si siano sfondati di alcol fino a perdere i sensi. Paolo arriva dopo pochi minuti e anche lui sembra parecchio stranito.
Porta con sé un panettone e una bottiglia di spumante, gentile regalo di suo zio che non conoscendolo gli ha dato il regalo più insignificante del mondo. Il regalo che i titolari di un’azienda fanno ai loro dipendenti.
Apriamo dolce e bottiglia e intorno al tavolino cominciamo a parlare e a raccontarci questi tre giorni.
E mi sento bene, mi sento a casa, mi sento capita, mi sento in mezzo a gente che mi vuole bene, non perché è costretta per via di un qualche legame istituzionalizzato, mi sento felice perché so che queste persone non mi faranno mai un regalo che non mi rappresenta.
E mentre ascoltiamo il cd di panflute, ridiamo tutti insieme intorno al panettone, allo spumante e alla bottiglia di amaro Braulio che abbiamo rubato a casa di mio padre.
Adesso è veramente Natale.